mercoledì 12 dicembre 2007

In tempo di pace, in tempo di guerra


Ieri sera ho caricato in macchina la mia mamma e siamo andate a teatro a vedere un vecchio spettacolo di Ascanio Celestini, Radio Clandestina. Questo piccolo uomo dalla lunga barbetta caprina e dagli occhi vispi e anche un po' spiritati, da solo, su un palcoscenico nero e vuoto, ci ha raccontato di vicende legate all'eccidio delle Fosse Ardeatine, partendo dalla Roma capitale d'Italia di fine ottocento, che costruiva i suoi palazzi e le sue periferie, perchè il racconto di quello che successe quel 24 marzo 1944 può durare un minuto, o anche solo venti secondi, oppure una settimana. E lui ce ne ha raccontati di fatti, per due ore intere. Non ci ha presentato un documentario alla Minoli, ci ha semplicemente parlato, narrandoci i racconti che altri, quelli che li hanno vissuti quei momenti, gli hanno fatto. Io avevo mia madre accanto, e l'ho vista assentire o scuotere la testa, e l'ho sentita sospirare. Lei a quei tempi c'era, anche se era una bimba. Lei quelle atmosfere, quei momenti, li ha vissuti. E i racconti che sentivo recitare sul palcoscenico erano, caso strano, fin troppo simili a quelli che mi facevano i miei nonni e le mie zie, e mio padre insieme a loro. Io ho sempre amato ascoltare i "grandi" che raccontavano. La mia zia Erarda, scomparsa da poco, mi raccontava delle fughe precipitose sotto i bombardamenti per raggiungere i rifugi, con mio cugino al collo e mio padre trascinato per mano, e mio padre mi raccontava la paura, la fame di un ragazzino il cui padre era stato deportato in Germania senza che di lui si avessero notizie di qualsiasi genere, e l'angoscia che vedeva negli occhi di sua madre, ma anche la meraviglia provata per la parata delle truppe alleate che entravano nella piazza del Zitadòn con i carrarmati preceduti, cosa incredibile, da uomini pelosi con la sottana a squadarzòni che suonavano le cornamuse, col mazziere in testa a dare il tempo, e la mia nonna materna, moglie di carabiniere ma vera marescialla della famiglia, a raccontare di quando a Ventimiglia le camicie nere portarono via il mio nonno nel cuore della notte, in mutande, e il racconto è lo stesso che fa mia madre, che si stampo' l'esperienza nella mente anche se aveva solo quattro anni. Era la stessa bimba che rise della sorpesa sbigottita della bisnonna Gemma quando scoprì che i militari inglesi giunti a liberare Salsomaggiore e che erano in realtà indiani dell'India, sotto turbanti chilometrici nascondevano (oh, che scandalo!) chilometriche capigliature legate a codino perchè, quando morivano, fosse più semplice per Visnù afferrarli per i capelli e portarli nel loro paradiso. E infine Attilio detto 'ttiglio d'Marlòtt, il mio nonno paterno, deportato in campo di concentramento, che per mille e mille volte ha iniziato i pranzi di famiglia delle feste con il suo: ah, i caplèt! Cuand ca s'era in Germagna....e via con racconti che a noi, bimbi a quel tempo, sembravano sì terribili ma, tutto sommato, incredibili.
La platea, ieri sera, era piena. Moltissimi i giovani, pochi gli adulti, pochissimi gli anziani. Chi ha vissuto quei tempi preferisce non ricordarli, chi negli anni ne ha raccolto le testimonianze ne schiva di nuove, con una sorta di supponente sufficienza. I giovani, i ventenni di oggi, a quanto sembra vogliono sapere come sono andate le cose, vogliono che qualcuno perda il suo tempo per raccontar loro che cosa succedeva in quei tempi. Ieri sera, non erano lì perchè Celestini è, ormai, un volto televisivo. Sono venuti a teatro per sentirlo parlare, in un silenzio carico di attenzione, perchè nel suo racconto, ci credono. E' come una sorta di Auctoritas. Agente della trasmissione di conoscenze e di esperienza. Perchè, che lo vogliamo o no, tutti noi cresciamo seduti sulle spalle di quelli che ci hanno preceduti. Tanto vale imparare da loro per fare meglio ciò che di bello han creato, per non rifare gli stessi errori. In tempo di pace, perchè non ci sia più un tempo di guerra.

Nessun commento: